La piazza: un viaggio per immagini

didascalie di Andrea Pancalletti (Il Cuore della Città – Edizioni Rotary Club Tolentino, 1993)

Sacro Monte di Pietà

Questo edificio, in antico Oratorio della Confraternita del Corpus Domini, venne destinato fin dal XVI secolo a sede del Monte di Pietà. Dell’originario edificio rimane il portale con bell’ornato di minuti intagli in pietra; l’opera è attribuita a Giovanni di Pier Giacomo, ad un maestro lombardo o a qualche allievo di Domenico Indivini. La facciata del Monte di Pietà fu ricostruita verso la fine del XVIII inizi del XIX secolo, su disegno dell’architetto e pittore Giuseppe Lucatelli, il quale ricollocò l’antico e minuto intaglio in pietra.

Palazzo Margarucci–Parteguelfa

La facciata del palazzo, riedificata nel 1822 su disegno dell’arch. Ireneo Aleandri, introduce in prossimità della piazza nuove proporzioni, nuovi modi compositivi ed una diversa idea di palazzo espressa dalle architetture dei prospicienti edifici. La nuova facciata rivela una maggiore attenzione allo sviluppo dell’edificio privato, in relazione all’intorno urbano; in particolare i cinque imponenti fornici a piano terreno vogliono anticipare lo spazio porticato della piazza. Le proporzioni utilizzate dall’Aleandri sono davvero imponenti, fuoriscala per lo spazio della via; i portoni dalle dimensioni eccezionali destano stupore ed incutono timore; lo stile è severo m non freddo. Con sapienza urbanistica e straordinario effetto scenografico, il palazzo è posto nel punto dove la via piega leggermente per aprirsi allo spazio della piazza; la facciata, tripartita, con la sequenza dei fornici segue lo sviluppo della strada. L’Aleandri cerca un rapporto di scala con le ampie finestre dei palazzi rinascimentali della piazza, mentre il cornicione al piano nobile sottolinea lo sviluppo orizzontale della facciata. Gli architravi delle finestre al piano nobile, sormontati da archi che si sviluppano nella muratura, sottolineano la struttura rispetto all’apparato decorativo e alleggeriscono le proporzioni del piano nobile interessato dal ritmo serrato delle aperture.

Palazzo Palladini

Il palazzo, posto a fianco di palazzo Margarucci-Parteguelfa, offre l’opportunità di misurare con precisione la reale scala d’intervento del progetto dell’Aleandri. La facciata di questo palazzo deve essere stata riedificata agli inizi del secolo scorso (XIX sec.). Infatti molti palazzi della piazza presentano un rinnovamento di carattere ottocentesco, legato al manifestarsi di un forte movimento tellurico nel 1799, che fu causa di notevoli danni agli edifici. Gli stucchi affianco (nelle foto) arredavano il soffitto del Caffè Corradetti al pianoterra del palazzo.

Piazza del Popolo

La vasta piazza ellittica, orientata con una leggera rotazione verso nord-ovest, si presenta come centro della vita cittadina, spazio del quotidiano rispetto ai luoghi della memoria posti in cima al Montenero, con le torri, il castello, i conventi, la cattedrale madre, le mura antiche, gli uliveti assolati. In alto sul colle, la forte luce attraversa lo spazio e mostra l’isolamento e la “drammatica” presenza di architetture costruite per imporre un dominio alla natura e al territorio circostante. In basso, la piazza è invece destinata ad accogliere quanti approdano a San Severino. Nella piazza, le ampie curve dei palazzi che la cingono, realizzano uno spazio che muta di continuo e vive in funzione della luce e del passare del tempo: la luce scorre sugli intonaci colorati e sul mattone a vista; le facciate si rincorrono senza soluzioni di continuità; non esistono spigoli vivi e l’ombra convive con la vibrante luminosità cromatica dello spazio. La luce solare, diffusa dal cielo o diretta, viene captata dalle curve ed ampie superfici ed indirizzata anche in quei punti che altrimenti vivrebbero di sola ombra. La piazza di San Severino sembrerebbe avere maggiore affinità con la leggerezza e la luminosità dell’aria che con la presenza e l’opacità della terra; tuttavia s’impone per la forte orizzontalità dei fronti compatti, segnati da marcapiani e cornici, orchestrati dalla varietà di proporzioni e dal ritmo delle finestre, conclusi da eleganti elementi di gronda posti a contornare l’azzurro del cielo. Le strutture edilizie dei palazzi affondano le proprie fondazioni in profondità, fino a raggiungere il substrato della conformazione geologica del sito; ampie grotte s’inoltrano, scendendo, sotto il piano della piazza, sorretto dalle volte reali delle neviere e delle cantine sottostanti. In taluni palazzi è documentata la presenza di sorgenti sotterranee, affioranti e raccolte in piccole cisterne o pozzi.

Palazzo Comunale

Costruito nel 1764 su disegno dell’architetto romano Clemente Orlandi (1694-1775), l’edificio si pone in relazione al grande invaso della piazza, consolidando il ruolo direzionale che questo spazio ha ormai definitivamente accolto con l’abbandono del nucleo altomedioevale. Il rapporto “fuoriscala” dei palazzi principali che, a partire dalla fine del XVI secolo, vi sono stati realizzati, è stabilito nella medesima misura dal Palazzo Comunale, senza prevalere sugli altri edifici se non per ricchezza ed esigenze stilistiche del diverso vocabolario linguistico. La misura eccezionale delle aperture del primo e secondo ordine, come per Palazzo Gentili-Rossi, aprono ad una diversa lettura del vasto spazio urbano; la ricercatezza delle soluzioni d’angolo, dei riquadri, delle paraste in mattone a facciavista, la decorazione delle cornici delle finestre, con festoni e corone, introducono nella piazza la leggiadria, il rigore e la complessità compositiva del Settecento.

Via Indivini e Palazzetto Marini

Attraverso via Indivini, dalla piazza si sale fino al Castello. E’ sicuramente una delle strade di collegamento più importanti, sorte all’origine della città medioevale per collegare anche strategicamente il Castello con la Platea Mercati, i conventi e i torrioni di difesa, esterni alla cinta muraria. L’importante complesso conventuale di San Domenico, fuori le mura, e il Castello sul Montenero, sono collegati da questa via che rappresenta l’asse di sviluppo urbano del primo tessuto edilizio sorto intorno all’attuale piazza del Popolo. L’asse viaria cresce fino al Colle, dove la città altomedioevale si rappresenta tradizionalmente come successione di quinte murarie ed edifici, in crescita verso l’alto. Nei secoli successivi il Borgo che nel frattempo ha raggiunto un notevole sviluppo, trova un diverso equilibrio, l’asse principale di crescita si sposta lungo via Salimbeni, via Nazario Sauro e oltre la piazza, lungo via Eustachio e via Cesare Battisti. Via Indivini accoglie bei palazzi del XV e XVI secolo, in particolare il bel portico di palazzo Marini e la quattrocentesca facciata con bel portale e cornici alle finestre, posta in fondo alla via.

Palazzo Gentili da Rovellone (Rossi)

Nel 1524 il fronte sulla piazza e la ridistribuzione interna della precedente fabbrica sono interessati da un radicale intervento di rinnovamento, voluto dal proprietario Francesco Gentili; la sovrapposizione della nuova facciata a preesistenti corpi di fabbrica viene evidenziata dalla marcata e regolare scansione ritmica del portico, su cui sono irregolarmente disposte le aperture dei piani superiori evidentemente vincolate dalla presenza di muri di spina esistenti. La facciata ad andamento lenticolare è attraversata al piano terra dal percorso continuo, porticato, con i poderosi fornici con bugne realizzate con mattoni a facciavista; i piani superiori sono rivestiti da un intonaco di calce, colore ocra, con le finestre del primo piano formate a croce con cornici ed architravi in pietra; il secondo piano è stato interessato da interventi e completamenti successivi, come si rileva dalla diversa fattura e dai materiali utilizzati. La diversità e la sovrapposizione dei materiali accentuano il movimento in superficie e la lettura orizzontale del prospetto. Le finestre del piano nobile sottolineano l’introduzione di una nuova misura architettonica della piazza e la presenza di una diversa rappresentatività dello spazio pubblico che tende a realizzare un fuoriscala nel rapporto con il preesistente tessuto urbanistico.

Palazzo Valentini

Il palazzo si sviluppa per circa un terzo del fronte sud della piazza, frutto di successive modifiche ed accorpamenti di più unità edilizie; la facciata, ricostruita nel XVIII secolo, si presenta con un pregevole paramento in mattoni a vista e cornici in stucco. Nella parte basamentale si sviluppa il ritmo articolato delle aperture del portico, vincolato dalla presenza dei muri di spina appartenenti a preesistenti corpi di fabbrica; il raddoppio di pilastri e la marcatura del bugnato in corrispondenza del portone d’ingresso interno al portico realizzano l’equilibrio del prospetto dove c’è asimmetria e movimento. La facciata si sviluppa secondo la sequenza (a, a, a, b, a, a, c, a, a, a) con raddoppio delle aperture superiori in corrispondenza di b e c. Il palazzo è stato successivamente interessato da restauri ed aggiunte nel 1812, data segnata sulla lapide con mascherone. E’ particolarmente interessante la soluzione d’angolo con il balcone ed il gioco delle superfici leggermente aggettanti, concluse dall’ampio cornicione su cui si aprono gli ovale delle aperture del sottotetto, articolate con le decorazioni delle cornici del piano secondo. Il palazzo è posto all’imbocco del portico della piazza, in relazione alla piazzetta del teatro e al corpo aggettante e porticato del Teatro Feronia; la situazione spaziale è risolta nella continuità delle superfici a cui si accompagna il giro d’angolo del cornicione, oltre il quale, in alto, emerge la piccola altana con loggetta.

Teatro Feronia

L’attuale prospetto del Teatro Feronia, considerato probabilmente provvisorio al momento della ricostruzione del teatro, nel 1823, nasconde dietro le sue linee semplici ed austere, lo splendore della ala costruita dall’architetto Ireneo Aleandri, in luogo del teatro del 1740, realizzato su disegno del fanese Domenico Bianconi. Del settecentesco teatro abbiamo la pianta acquerellata dalla caratteristica ed elegante fisionomia a campana; del teatro del 1823 si hanno invece i disegni acquerellati delle piante, alzati e sezioni interni; non si è in possesso di alcun disegno originale della facciata. Osservando il progetto di completamento, presentato nel 1878 dall’architetto Cesare Bruschetti di Camerino, appare difficile immaginare, nella piazza di San Severino, la presenza dell’imponente facciata neoclassica che avrebbe sconvolto il rapporto di pieni e vuoti ritrovabile in tutta la piazza con la sequenza dei portici al piano terra che stabiliscono un generale aspetto di leggerezza ed eleganza. Il progetto del Bruschetti prevedeva la chiusura del porticato con l’apertura di cinque porte di accesso, la costruzione nel primo e secondo piano di grandi arcate sorrette con quattro colonne ioniche e due ordini di finestre; la facciata si chiudeva con un frontone alla cui base vi era scritta “TEATRO FERONIA”. La facciata attuale si presenta con un pavimento di mattoni a facciavista, con soprarchi e marcapiani del piano terra in cotto; le fredde superfici, in pietra bianca, delle cornici delle finestre e del cornicione di gronda, contrastano con la luminosità calda del mattone colore paglierino-rosato; la proporzione generale dell’edificio è data dal rapporto tra il lato del quadrato e la sua diagonale; in particolare vanno fatti rilevare i rapporti proporzionali dell’incompiuta facciata, con l’inversione del classico rapporto pieno-vuoto per la presenza del porticato al piano terra, su cui è posta una piatta superficie dove si aprono due ordini di finestre con interposti ampi tratti di muro. E’ interessante notare un maggiore risalto dato alle decorazioni del cornicione di gronda che, posto a ridosso delle cornici del secondo ordine di finestre, conferisce al prospetto un’accentuata orizzontalità.

Palazzo dei Governatori

Il 26 novembre 1586 il Pontefice Sisto V eleva San Severino a città e diocesi; il 18 gennaio 1587 fa il suo ingresso il primo Vescovo della città, Mons. Orazio Marziario; si rinnova così il mito dell’antica città di Septempeda, antico Municipio romano e Diocesi. Con Breve del 9 giugno 1604 Clemente VIII istituisce il Governatorato prelatizio di San Severino e nomina per la durata di tre anni il giovanissimo pronipote Silvestro Aldobrandini cardinale di S. Cesareo; in Piazza Maggiore viene edificato il palazzo apostolico dei Governatori, restaurato nel 1722, divenuto sede della Pretura ed oggi Biblioteca Comunale. Nel cartiglio posto in fondo allo stemma di città del 1640, si legge la scrittura UTRAQUE IN UTRIMQUE indicante la doppia potestà dei due simboli – la Giustizia e la Carità – per la città e per il suo contado costituito da castelli e ville dipendenti. La piazza inizia ad assumere un nuovo ruolo, rappresentativo della diversa situazione politica della città: agli estremi sono posti il Monte di Pietà e il Palazzo dei Governatori, luoghi rappresentativi della Carità e della Giustizia; l’asse principale della struttura urbana ruota per interessare maggiormente l’asse maggiore dell’ellisse; il grande vuoto si imposta gradualmente su una maggiore simmetria tra i lati sud e nord, mentre via Indivini, al centro del lato sud, ove si affacciano i palazzi principali, inizia a perdere la centralità di percorso urbano.

Palazzo Franchi-Servanzi

Edificio del XV-XVI secolo, ristrutturato nel secolo successivo con l’elaborazione del bel prospetto di gusto antiquario, realizzato in mattone a facciavista, stuccato e levigato. Di particolare interesse la presenza dell’ordine gigante con lesene corinzie, concluso dalla trabeazione dove è dato particolare risalto al movimento della scritta in carattere antico. Il ritmo di facciata è arricchito dall’inserimento di pregevoli elementi in pietra, completi di lesene, archi e capitelli, lavorati con motivi vari, ad incorniciare le aperture del piano nobile. Il piano terreno è rivestito da un bugnato arrotondato e levigato con stucco, durissimo al contatto, composto di malta di calce ed inerti. Nel XIX secolo è stato la residenza del Conte Severino Servanzi Collio, noto studioso di antichità che inserì nell’atrio frammenti di sculture ed iscrizioni romane, in gran parte provenienti dalla distrutta Septempeda, ed una caminiera del XV secolo. Sul retro del palazzo scorre via San Giovanni con il caratteristico collegamento aereo tra questo palazzo e la casa vicina; di particolare interesse, all’angolo, un’ultimo paracarro in legno.

Palazzo Luzi

Tra i più imponenti palazzi della città, è stato costruito nel XVI-XVII secolo in posizione simmetrica rispetto al quattrocentesco palazzo Caccialupi, posto all’altro lato della piazza. Il palazzo, porticato al piano terra, è realizzato in mattoni a facciavista e in alto è concluso da finestre quadrate poste singolarmente a contatto del pregevole cornicione in pietra, lavorato a cassettoni decorati. Il palazzo, interessato da numerosi interventi successivi, richiama un particolare interesse per come si pone all’interno dell’isolato edilizio, con l’inserimento di un pregevole cortile e di cavedi interni. Sotto il portico al piano terra troviamo due finestre con belle cornici di gusto manierista; al centro la particolarità dell’ingresso, segnato da due bei portici identici, attraverso i quali si accede ad un cortile interno e all’ampia scala, dove sono collocati i due leoni visibili in alcune foto d’epoca a lato della fontana posta al centro della piazza.

Palazzo Cancellotti – CA.RI.MA.

L’originario palazzo di proprietà dei Conti Cancellotti è stato demolito negli anni ’50 per far posto all’attuale sede della Cassa di Risparmio di Macerata. Lontano dal recupero della bella facciata con eleganti cornici e stucchi settecenteschi e altrettanto distante da una possibile relazione con lo spazio e le proporzioni dell’architettura della piazza, il progetto ha posto un’infelice accento del nostro secolo (XX sec.).

Palazzo della Gendarmeria

Progettato da Venanzo Bigioli, il palazzo originariamente di proprietà comunale (oggi solo piano terra) è stato edificato nel 1818; nella targa posta sul frontale si legge PUBLICI SUMPTUS ET IURIS. Al tempo è sembrato necessario, per pubblico decoro, riequilibrare i due lati della piazza rispetto all’asse longitudinale, eliminando un vuoto posto in relazione all’imbocco di via Ercole Rosa, chiudendo maggiormente la figura ellittica della piazza. Il palazzetto, dalle linee molto semplici e lineari, in passato ha ospitato la gendarmeria pontificio e in seguito la stazione dei Carabinieri. Successivamente è stato la sede del locale Istituto Popolare di Crediti e Risparmi, della Cassa di Risparmio di Macerata, degli uffici delle Poste e Telecomunicazioni. Attualmente è sede della polizia urbana.

Chiesa di San Giuseppe

Unico punto della piazza ad avere sviluppo prevalentemente verticale (oltre Torre dell’orologio), con un volume di facciata tardobarocca e l’elegante campanile; le linee semplici e morbidamente articolate, realizzate in mattoni a vista, respirano e pulsano nello spazio urbano; al di là dello sviluppo compositivo della facciata, ancora una volta sono le linee orizzontali a determinare l’appartenenza dell’edificio al complesso urbano; le linee di quota e l’imposta delle linee di gronda stabiliscono con chiarezza e semplicità l’inserimento di questo anomalo corpo all’interno della piazza. La chiesa viene edificata in un primo tempo nel 1628 per volontà della famiglia Tinti e successivamente nel 1768 fatta ricostruire da Vincenzo Tinti, su disegno dello svizzero Carlo Maggi, architetto di formazione romana, originario di Pozurella nel Cantone di Lugano. Carlo Maggi, poco dopo la metà del secolo, stabilisce il proprio domicilio nei pressi di Montaldo, in Monte di Nove; istruisce nell’architettura il figlio Pietro che quindi manda a Roma, ove rimane sei anni, frequentando i migliori maestri e copiando i monumenti più interessanti dell’antichità. Tornato nella propria patria elettiva, Pietro inizia una fiorente attività fornendo disegni per fabbriche ed edifici pubblici e privati.

Palazzo Caccialupi (ora Scuderoni)

Tra i più bei palazzi del XV secolo, nelle Marche, segue lo sviluppo dinamico della piazza, con particolare risalto della superficie di mattone a facciavista e delle belle cornici delle finestre, disposte secondo un ritmo dilatato e rarefatto, in funzione delle deformazioni visive prodotte dal continuo spostamento del punto di vista dell’osservatore. L’edificio è arricchito dalla presenza di portici al piano terra e di due eleganti logge al terzo piano, con colonnine circolari e capitelli d’ordine corinzio in travertino. Con la stessa pietra sono lavorate le cornici e gli architravi delle finestre, poggianti su trabeazioni marcapiano lavorate finemente con decorazione ad ovuli. Due iscrizioni del 1437 sono presenti all’interno della scala.

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