Chiostro ex convento di San Domenico Il convento di San Domenico sorge in prossimità del Fiume Potenza, al di fuori delle mura del centro storico di San Severino Marche, a circa cento metri dalla sua piazza. I Frati Domenicani iniziarono la costruzione, intorno al 1220, tra l’antica torre degli Smeducci e la Chiesa di Santa Maria del Mercato, donate dalla Città al Patriarca San Domenico. Nel 1304 viene riconsacrata la nuova Chiesa e parte del complesso conventuale doveva già essere stato realizzato. Si può pensare alla costruzione del complesso come ad un continuo cantiere che procedeva man mano che i Frati acquisivano, con il frutto del proprio lavoro e con le offerte dei fedeli, le somme necessarie al proseguimento delle opere di costruzione o successivamente, dei numerosi lavori di restauro o ristrutturazione della fabbrica originaria, realizzatisi soprattutto nel corso dei secc. XV-XVI e XVII. Soggetto a confisca da parte dello Stato, nel 1882 il Convento dei Domenicani viene acquistato presso l’Intendenza di Finanza con la dote in danaro lasciata da Mons. Bernardino Luzi che nel 1827 aveva voluto fondare un’istituzione con finalità di promozione ed aiuto allo studio dei giovanetti oltre che di assistenza ai vecchi ed agli invalidi. Attualmente il complesso viene mantenuto con le rendite dell’Opera Pia che hanno consentito la conservazione dell’immobile fino ad oggi, dopo che nel 1978 la Casa di Riposo Lazzarelli ha lasciato il Convento per stabilirsi nella sede del vecchio Ospedale. Il convento e la Chiesa riconsacrata nel 1304 rappresentano una preziosa testimonianza dell’architettura portata, a partire dal XII-XIII secolo, dai Maestri Comacini Lombardi. L’uso dei materiali, con la pietra concia bianca per la fascia basamentale ed il mattone per la parte superiore, utilizzati anche per gli altri maggiori monumenti della città medioevale (Torre civica e Cattedrale al Monte, torre di San Lorenzo in Doliolo, la Chiesa di Sant’Antonio in Cesalonga), rende evidente una precisa volontà di rappresentazione formale e linguistica nel disegno complessivo dello spazio urbano e nel territorio, a cui il nostro monumento appartiene.
La nascita di San Domenico Il chiostro, sempre quadrangolare, è il punto di riferimento di tutto il complesso monastico. Organizzato secondo un’idea distributiva è misura dei singoli locali che formano un compatto nucleo di edifici rettilinei disposti ai quattro lati. È considerato il cuore del monastero perché è il centro della vita dei monaci così come lo è della sistemazione urbanistica. Lo sviluppo del monachesimo benedettino romano, agli inizi del IX secolo, sotto l’influsso dell’imperatore Carlomagno e di san Benedetto d’Aniano, impone in tutto l’occidente una concreta interpretazione del monachesimo cristiano fino alla concezione di un modello architettonico ben determinato. Il monastero è concepito come un edificio in cui “i monaci militano sotto una regola e sotto un abate”. Dalla Regola di san Benedetto, però, risulta evidente più la preoccupazione dell’organizzazione interna della comunità che della disposizione e della struttura degli edifici. «Il monastero si costruisca, possibilmente, in modo da potervi trovare tutto il necessario, cioè l’acqua, il mulino, l’orto e gli ambienti per le varie attività così che i monaci non debbano girovagare fuori, cosa che non recherebbe alcun vantaggio alle loro anime ». Attorno a questi principi spirituali e disciplinari si viene delineando e concretizzando la struttura del monastero benedettino. Bisogna, però, attendere l’epoca carolingia, quando i monasteri benedettini, diventano l’elemento portante della riorganizzazione civile e del risveglio culturale, per trovare i primi esempi concreti: Saint Riquer, San Gallo, Fontenelle. Per quanto riguarda il modello storico, l’edilizia monastica sembra ispirarsi, nella struttura fondamentale, alla villa romana, soprattutto nel chiostro che riprende il peristilio nell’intento di raggruppare e di collegare le parti in una costruzione funzionale ed armonica. Sotto l’influsso della riforma cluniacense si verifica un risveglio febbrile di attività costruttive che si manifesta sia nella fondazione di nuovi monasteri sia nell’adattamento e nell’ampliamento di strutture esistenti sempre secondo lo schema dell’ordinata articolazione degli edifici attorno al chiostro. L’esame di un notevole numero di monasteri sorti in questo periodo in Europa testimonia che l’impianto di Cluny, quale modello organizzativo, è divenuto vincolante. Il chiostro rappresenta a tal punto l’universo fisico e spirituale del monaco che il derivato claustrale non solo diviene l’aggettivo qualificativo per eccellenza della vita monastica, ma addirittura, usato in modo sostantivato, è termine sostitutivo di monaco: il claustrale , la claustrale . Dal chiostro si accede a tutti gli altri ambienti: all’oratorio, alla sala capitolare, al refettorio, ai dormitori, all’infermeria, alla biblioteca. Nel chiostro i monaci si riuniscono prima e dopo i lavori, passeggiano, leggono, fanno le processioni nei giorni di maggiore solennità, si ritrovano alla fine della giornata per ascoltare la lettura spirituale. Per questo motivo il chiostro è carico di una forte valenza teologica, morale, spirituale e mistica. È il luogo dell’incontro dell’uomo con Dio creatore e redentore, è la scuola della dilezione dove il monaco fa esperienza dell’amore fino, nella sublimità, all’unione mistica, all’incontro nuziale dell’anima con Cristo. Il chiostro è il luogo del silenzio in quanto non semplice norma disciplinare, negazione di una delle più nobili dimensioni umane qual’è la comunicazione interpersonale, ma come disposizione e condizione indispensabile al dialogo coli Dio. Nel silenzio della contemplazione l’anima si ripiega su sé medesima, riposa libera e, riparata dai pensieri mondani e materiali, medita sui beni spirituali. Il chiostro emana una forte carica evocativa e simbolica secondo le ricorrenze e i tempi liturgici, secondo gli stati emotivi personali, secondo il progresso spirituale dei singoli: le gallerie, i colonnati, il giardino interno, l’acqua, gli alberi. La struttura stessa del chiostro, la forma obbligatoriamente quadrangolare è legata al significato simbolico del numero quattro che, nella cultura antica, è il numero che esprime l’universo: la terra che poggia su quattro colonne, i quattro elementi dell’universo, i quattro punti cardinali, i quattro venti, le quattro stagioni. Le quattro gallerie, da quella ad ovest a quella a sud, indicano e riproducono umano ed il pellegrinaggio spirituale del monaco verso l’amore perfetto di Dio, e rispettiva mente, il disprezzo di sé, il disprezzo del mondo, l’amore del prossimo e l’amore di Dio. Ogni lato ha la sua fila di colonne; alla base di Tutte vi è la pazienza. Il giardino interno riproduce e riecheggia, in piccolo, la varietà, la bellezza e l’armonia del cosmo, in cui i quattro elementi sono non solo rappresentati ma riprodotti: la terra che vi è coltivata, l’acqua che vi sgorga, l’aria in cui è avvolto, la luce da cui è inondato. È un perfetto osservatorio dei tempi e delle stagioni, delle costellazioni e delle fasi lunari. Il simbolismo ripercorre e lega, con forte accentuazione antropologica, la storia dell’universo e dell’umanità, dalla promessa alla realizzazione, dal giardino dell’Eden al giardino di Pasqua, da Adamo, creato ad immagine e somiglianza di Dio , a Cristo, figlio di Dio, nuovo Adamo , vero albero della vita, piantato al centro del paradiso, vera acqua che dal fonte battesimale zampilla per la vita eterna. In questo senso si può parlare del chiostro come paradiso claustrale e, più precisamente, come paradiso intermedio, come luogo di passaggio dal paradiso perduto di Adamo, al paradiso ritrovato in Cristo. Il giardino evoca la freschezza, la purezza e la perfezione dell’opera appena uscita dalle mani di Dio, la luminosità e la grazia della presenza di Dio che “trova sua delizia lo stare con i figli dell’uomo”. I capitelli, i peducci riproducono, in dovizia, le forme vegetali ed animali che l’immaginario medioevale attribuisce all’Eden dell’inizio. Ad immagine del macrocosmo, uscito fresco e palpitante di vita dal caos primordiale, il microcosmo claustrale traspira bellezza ed armonia: costruito con sapienza divina secondo peso, numero e misura è la più alta realizzazione estetica, espressione e riflesso di una bellezza che non si spiega ma che si contempla, aspirazione alla visione di Dio coinvolgente più e meglio di qualsiasi argomentazione metafisica ed intellettuale. Il giardino del chiostro è, in genere, quadripartito; scandisce le tappe della spiritualità monastica attraverso quattro tempi: il giardino dell’Eden, il giardino del Cantico dei Cantici, il giardino degli Ulivi, il giardino di Pasqua. La costruzione del chiostro nel monastero è stata ripresa dal portico di Salomone, eretto attiguo al tempio. In esso gli apostoli tutti erano soliti radunarsi in armonia di sentimenti e da qui si raccoglievano nel tempio per la preghiera; e la moltitudine dei credenti era un cuor solo ed un’anima sola; essi mettevano tutto in comune (Atti, 4). Secondo questo modello i religiosi vivono nel chiostro in concordia di spirito e, sia di notte che di giorno, nel monastero sono impegnati nel servizio divino. E ancor oggi i fedeli abbandonano il mondo e perseguono nel chiostro la vita in comune. Il chiostro è, inoltre, figura del paradiso terrestre (Gen.4) che configura il monastero come un luogo di paradiso più ameno dell’Eden: quella che nell’Eden era la fonte delle delizie, nel monastero è la fonte del battesimo, quello che nell’Eden era l’albero della vita, nel monastero è il corpo del Signore. I diversi alberi da frutta simboleggiano i diversi libri della sacra scrittura. La separazione del chiostro evoca, infatti, l’immagine del cielo dove i giusti sono separati dai peccatori così come coloro che professano la vita consacrata sono separati, nel chiostro, dai secolari. Del resto i monasteri sono immagine del paradiso celeste. La fonte e l’albero della vita sono simbolo del Cristo il quale è la fonte della vita e l’alimento dei beati. Nel monastero due cori cantano lode a Dio; e nel paradiso celeste gli angeli e i santi, con soave armonia, canteranno eternamente al Signore. La grandezza di coloro che nel chiostro sono dediti al servizio di Dio consiste nel fatto che essi hanno, nella vita religiosa, un cuor solo ed un’anima sola e tutti hanno ogni cosa in comune così come nella patria celeste tutti gli eletti avranno un cuor solo ed un’anima sola nel vincolo della carità e tutti avranno ogni cosa in comune, perché colui che avrà qualcosa in meno in essa lo riceverà negli altri lì dove Dio è tutto in tutti. “Nel chiostro ognuno occupa, secondo l’ordine, il proprio posto; così nel paradiso ognuno riceverà il proprio posto secondo i propri meriti”. Onorio di Autun (1080 ca – † dopo il 1153), Gemma animae.